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Lapostrofo in radio. Far finta di essere sani

Nei post fin qui succedutisi ho affrontato temi che, fedeli al linguaggio corrente, potremmo raccogliere nel capitolo intitolato ‘innovazione’. Ecosistema, startup, economia collaborativa e innovazione sociale, questi i nomi dei diversi paragrafi già scritti; internet delle cose ed economia della conoscenza solo due tra quelli a venire.
La descrizione introduttiva della versione radiofonica di questa striscia settimanale, però, promette ‘storie e idee per capire il nostro tempo’, intendendo che ad essere qui presi in considerazione non sono solo le realtà e gli eventi più ‘avanzati’, ma anche quelli più in ombra o meno piacevoli da affrontare.

Così, dopo aver dato una sbirciatina ad alcune delle principali tendenze che anticipano il domani, voglio deliberatamente citare due documenti dell’oggi che ci fanno ripiombare nel passato e nell’arretratezza. Il primo è un rapporto ancora caldo di stampa in cui si fa una scoperta sorprendente, ma forse non così tanto: il 25% dei quindicenni italiani non possiede conoscenze e competenze matematiche necessarie ad una piena integrazione nella società, mentre il 20% non ha acquisito i fondamenti della lettura e della scrittura. Sostanzialmente, un quarto degli studenti italiani di 15 anni è analfabeta in matematica mentre un quinto è analfabeta in senso letterale. La rilevazione è stata condotta dall’OCSE e colloca l’Italia in una situazione peggiore rispetto alla media dei 64 paesi che fanno parte dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico.
Il secondo documento che voglio citare è invece una indagine risalente allo scorso ottobre realizzata dal Ministero dello Sviluppo Economico. Lo studio si è concentrato su quelle che nel dossier vengono definite PMI eccellenti, ovvero un campione di 1000 aziende altrimenti dette vincenti per innovatività tecnologica e manageriale, nonché per la capacità di proiettarsi sui mercati internazionali. Ebbene, quello che si scopre scorrendo le pagine del documento pubblicato dal Mise è che anche la migliore imprenditoria italiana arranca, e nello specifico a causa della propria poca familiarità con l’e-commerce: infatti, se è vero che un sito ormai lo hanno proprio tutti – come dimostra il dato del 100% delle aziende – solo il 14.6% delle imprese censite si è dotata di un servizio di shopping online. I compilatori dello studio definiscono questi risultati “modesti”, frutto della “forte immaturità delle PMI eccellenti sul fronte della digitalizzazione dell’utilizzo dei dati aziendali”.

contra

In conclusione un’ultima osservazione: tanto per le PMI che per gli studenti, i dati delle ultime rilevazioni sono migliori rispetto a quelle che le hanno precedute. Com’era auspicabile. Ma anche prevedibile.
Ed eccoci al punto, a quello che alla fine accomuna gli studenti di quindici anni e le 1000 migliori PMI italiane, ovvero il lento cammino di redenzione che caratterizza entrambi questi gruppi di riferimento tra loro tanto eterogenei: un incedere lento, che mi ricorda tanto quella canzone di Gaber in cui le cose, implacabili, progrediscono sempre. Sempre, però, rigorosamente ‘piano piano’.

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