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Lapostrofo in radio. Piante da aia e da foresta

Immaginate di essere una pianta, un germoglio appena fuoriuscito dal seme. Immaginate di aver sentito dell’umido di là dal guscio e di non esser riusciti a contenere le vibrazioni e gli strappi dati dalle vostre radici, che spasimano per bere finalmente un po’ d’acqua. Se voi foste quell’embrione, cosa sperereste di trovare fuori dall’involucro?

Semplificando di molto, due sono i possibili scenari che potrebbero occorrervi: essere i protagonisti di un processo di coltivazione controllato dall’uomo, come una piantagione o una serra, oppure trovarvi in un ecosistema naturale e non controllato dagli esseri umani, come una foresta o un deserto. Nel primo caso sareste inseriti in un processo produttivo ingegnerizzato, che utilizza degli specifici fattori produttivi con un solo scopo: far produrre alla vostra pianta un fiore o un frutto predeterminato, e quello soltanto. Se invece foste in una foresta di mangrovie, beh, allora sareste all’avventura; ma nel caso in cui doveste riuscire a superare la selezione del vostro habitat, potreste essere soccorsi da piante e microrganismi con i quali istituire un mutuo scambio, che vi permetterà di esprimere la vostra personale attitudine a crescere e produrre frutti come preferite. Potrete essere la pianta che volete: nuova, originale ed eterodossa.

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Allora, dove vorreste essere? Come per ogni scelta importante, la premessa d’obbligo alla risposta è la solita: dipende. In questo caso dipende dal modo in cui desiderate vivere la vostra vita. Chi attorno a sé vuole un habitat sicuro sacrificherà una parte del proprio potenziale espressivo in favore della stabilità materiale e della prevedibilità degli eventi futuri, scegliendo un ecosistema influenzato dalla mano umana, mentre chi non vuole confrontarsi con le barriere e le ristrettezze imposte dal modo di produzione canonico sarà disposto a rinunciare alla stabilità e ad accettare il rischio/opportunità di prendere la forma che più aggrada.
Ora prendete questi due ecosistemi e traslateli al contesto socio-economico di una città, una regione o una nazione intera, e immaginate che il primo rappresenti il sistema economico basato sulla produzione in serie, la produttività, i miglioramenti tecnologici e la prevedibilità dell’output, mentre il secondo è un tipo di sistema economico emergente, non definito, in cui fanno la propria comparsa nuovi attori e nuove dinamiche mai sperimentate prima, un sistema il cui risultato è ignoto per definizione. Rinominiamo i nostri due scenari economici ‘ecosistemi’, ed ecco che il gioco è fatto: avremo così un’idea di massima di cosa sia un ecosistema nella teoria economica odierna e di come se ne possano presentare di tipi diversi – nel nostro esempio il primo è l’ecosistema della produzione industriale classica mentre il secondo rappresenta l’ecosistema dell’innovazione. Ecosistema, dunque, è un concetto attraverso il quale un sistema economico può essere letto interpretando le diverse relazioni che si instaurano tra tutti i suoi diversi componenti.

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Bene, ora immaginate di essere un giovane con una idea di business innovativa e di essere costretti in un ambiente non ricettivo, un habitat con le caratteristiche dell’ecosistema a forte influenza umana, nel quale si premia l’omologazione e le risorse vengono utilizzate solo per ottenere dei risultati prevedibili. A differenza del germoglio che rifiuta di uniformarsi, per dare espressione alle vostre idee e intuizioni potrete spostarvi per cercare un ambiente più favorevole, un luogo disordinato e non gerarchico, caratterizzato da una ricchezza conoscitiva e relazionale che potrebbe permettervi di costruire delle sinergie mai sperimentate prima, e dunque ad alto potenziale innovativo.

Immaginate tutto ciò, e poi pensate che forse è anche per questo che i giovani vanno via e che in Italia è così difficile fare qualcosa di nuovo.

(la metafora della pianta è frutto di libera ispirazione alla tesi illustrata nel volume The Rainforest, scritto da Victor H. Hwang e Greg Horowitt)

 

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